giovedì 19 febbraio 2015

Toh chi si rivede

Sono passati...boh, sono passati 5 mesi circa.
E' nata.
Mi ero ripromessa di non smettere di scrivere e invece eccomi qua, con un blog lasciato per troppo tempo in stand by e troppe cose che avrei voluto raccontare o non l'ho fatto.
Più o meno ogni giorno da quando è con me la ranocchietta, ho pensato "questa è una cosa ganzissima da raccontare, ci scriverò un post"...Se solo fossi stata abbastanza furba da appuntarmele queste idee... Ma questa nuova condizione di madre non lascia spazio (almeno all'inizio) a nulla. Sì, proprio a nulla. (no dai, non siamo catastrofici, a quasi nulla)
Non voglio (e non lo farò) iniziare a parlare solo di quanto è bello essere genitori e facilonerie simili. E nemmeno voglio diventare il 20'ordicesimo blog sulla maternità, inutile come (quasi) tutti gli altri. Non sono né pediatra né ostetrica, non so cosa sto facendo il 90% delle volte, e lungi da me provare a dire o consigliare agli altri cosa/come fare.
Credo che, perlopiù, ho avuto un gran culo:
- la gravidanza è andata benissimo
- il parto è stata un'esperienza piacevole (nei limiti del possibile, ovvio)
- la ranocchietta dorme la notte
- la ranocchietta mi permette di uscire a cena con gli amici e stare in compagnia (nei limiti delle sue esigenze, ovvio)
Starne a parlare troppo potrebbe urtare la sensibilità di chi invece non dorme da 2 anni o di chi non ha avuto esperienze altrettanto positive, e se una cosa ho capito, è che ogni bambino è veramente a modo suo, non ci sono regole, non c'è giusto o sbagliato (tranne le evidenze, ovvio).

Io però, ho comunque voglia di parlare della mia vita, ed inevitabilmente significherà parlare anche dell'essere madre, in quanto al momento faccio questo 24h al giorno, 7 giorni su 7.

E se a voi non va di leggerlo, lo capisco (in fondo che ve ne dovrebbe fregare). Oppure potremmo confrontarci, con chi è madre e con chi non lo è, dandoci opinioni, ritrovandosi in alcune dinamiche, capendoci.

Insomma. Ora vado che ci sono culi da pulire e cene da preparare. Ma ci si scrive presto eh. Questa volta lo prometto pubblicamente.


venerdì 18 luglio 2014

La classica lettera

Quella lettera che tutte le mamme (o molte, almeno credo...) scrivono al proprio figlio che sta per arrivare. E chi sono io per non fare altrettanto?

Cara bambina mia,
mentre sei qui che ti sento scatenarti nella mia pancia, che quasi sembra tu stia ballando il tip tap sulle mie costole, penso che ci sono tante cose che vorrei poterti dire, per prepararti a conoscermi.

Tesoro mio, scusami.
Questa è la prima cosa che mi viene dal cuore di dirti. Scusami per tutto quello che sbaglierò, fin dal primo giorno. Non so se hai potuto scegliere in quale pancia crescere per venire al mondo. Se sì, devo dirtelo, questo mi fa sorgere dei dubbi sul tuo buon gusto... Se no, allora sappi che io non ho la minima idea di cosa fare. Vorrei dirti che sei cascata male, ma in realtà ti poteva andare peggio, molto peggio, tipo nascere in una famiglia che vive in uno dei tanti paesi del mondo dove purtroppo al momento c'è la guerra, o dove ancora molte malattie da noi debellate resistono...oppure entrambe le cose insieme... Alla fine sei capitata in una famiglia di una piccola città toscana, il posto è bello (anche se la casa è piccola...scusa, di meglio al momento non posso permettermi... ma ci stiamo muovendo per migliorare la cosa quanto prima), la qualità della vita è buona e montagna e mare sono vicine da raggiungere (alla mamma piace la montagna, al babbo di più il mare, ma anche il contrario).

Io di bambini non ne so un bel niente. Anzi, mai avuto un buon rapporto con i figli degli altri. Non li capisco, li tocco malvolentieri, non ho un forte istinto materno e non rimango loro simpatica, in genere. Ti chiedo quindi (sì, non sei ancora nata e sono già a farti delle richieste) di avere pazienza con me.

Spero di riuscire a non soffocarti col mio amore, e allo stesso tempo di non fartelo mancare mai.
Spero di saperti educare con fermezza, ma di non spaventarti mai.
Spero di insegnarti a non commettere i miei stessi errori, ma saperti lasciare libera di commettere i tuoi.
Spero di essere una buona amica per te, ma anche una buona madre.
Spero di imparare velocemente, e spero che comunque tu mi conceda a volte di non capire.
Spero che tu non mi dica che mi odi, quando sarai adolescente, ma so che succederà e io spero di non dimenticare che una volta l'ho detto anche io a mia madre, ma poi passa.
Spero non ti piaccia il rosa (concedimelo).
Spero che un giorno io e te avremo il rapporto che io ho adesso con mia madre. E spero che questo avvenga prima...io ci ho messo troppo tempo.
Spero tu mi creda, e che tu non ti debba mai trovare nella condizione di mentirmi.
Spero di farcela, tesoro mio, spero tanto di farcela anche se la paura mi stringe la gola quasi a soffocarmi.

Ho tanta paura...ma non te la voglio dar a vedere. Anche se non saprò cosa sto facendo per il 90% del tempo, giuro che tu non subirai mai gli effetti del mio panico. Che ti proteggerò, anche da me stessa. Che ti sorreggerò, anche quando sentirò che avrei bisogno io di essere sorretta. Che proverò a non farti mancare niente, e se qualcosa mancherà, farò in modo che comunque tu non ne senta la mancanza.

E comunque, per qualsiasi cosa...se dovessi fallire...rivolgiti al babbo. Quello te l'ho scelto buono, sono certa. Anzi, il migliore che c'è (ma abbi un filo di pazienza anche con lui).

Ti aspetto. A presto.
Mamma


mercoledì 30 aprile 2014

Quei gioielli perduti

Ci siamo un po’ abituati a farselo dire quali sono i momenti da ricordare. Finisce che siccome in tutti i film americani il momento in cui lui le chiede di sposarlo è perfettamente romantico, deve essere in quel modo, e devi ricordarlo così. Che quando ti dà l’anello te lo deve mettere dentro una torta dalla quale escono 7 nani danzanti con in mano un dolcino più piccino che te mangi e manca poco ti ci strozzi con l’anello, ma te lo devi ricordare in quanto gesto fatto “in quel modo lì”, e lo racconterai perfetto.
E così finisce che perdiamo di vista quei momenti unici, ma piccoli, non costruiti, non stereotipati, non voluti. Quei momenti che come pietre preziose invece si incastonano perfettamente in una catena che è un susseguirsi di anonimi momenti di vita quotidiana banale, scontata. Sono quei passaggi che tendiamo a sottovalutare, a non dar loro importanza. Poveri scemi noi. Quelli che quando ballavo la mia insegnante mi urlava contro perché tralasciavo, perché puntavo a far bene i grandi passi, i tecnismi, i virtuosismi, e buttavo via, come di poco conto, ciò che ci stava nel mezzo.

Ecco che ieri, senza quasi che me ne rendessi conto, la mia mamma per la prima volta si è rivolta alla
bimba che porto nella pancia chiamandola Zoe. Perché in realtà non le piace il nome, anche se non me lo vuole dire, e ogni volta che le ribadivo che l’avrei chiamata così mi diceva “ ah sì sì fai come ti pare è solo che a me viene in mente quella delle strisce di Arturo e Zoe ed era una bambina paffuta e coi capelli ritti che mi stava un po’ antipatica”. E insomma ha continuato per un paio di mesi a scrivere liste di nomi alternativi da propormi…sempre con molto tatto…ma sempre nel tentativo di farmi cambiare idea.

E porca miseria quando è stato il momento esatto ieri non me lo ricordo. E vorrei ricordarmelo. Che bello la mia mamma che per la prima volta dice il nome della mia bambina. Che bello che tutto sta prendendo forma, e tutto sta diventando così reale.

Che palle che non mi ricordo quando è successo esattamente!!


Adesso sarò costretta a dire a mia mamma di tornare a trovarmi e ricreare la stessa identica giornata, facendo le stesse cose, sperando che risucceda nello stesso modo. Però sarà un momento finto, costruito, artefatto. Forse faccio prima a far uscire da una torta 7 nani danzanti che chiedono alla mia mamma di dire nuovamente il nome di mia figlia.

giovedì 24 gennaio 2013

Quella del 3B

Dolores sta male.
Non che sia una novità, ma spesso riesce a nascondersi dietro le altre e non la noto. Lo fa apposta di nascondersi. Ha affrontato così buona parte della sua vita. Celandosi dietro gli altri perché non si vedesse il suo dolore. Si illudeva che se gli altri non lo vedevano, poteva anche lei fingere che non esistesse.


Dolores non si chiama davvero così, ma si è fatta cambiare il nome appena arrivata al condominio, perché lei il dolore lo porta ovunque, anche nel nome.
Dolores ha un dolore che non si cura, non uccide, non si opera o si estirpa. Ma è cronico, costante, e se non si interviene in qualche modo, temo degenerativo. Il suo male nasce con lei. Il suo male è donna.


Solo quando nel condominio tutti dormono, solo in quei momenti nel bel mezzo della notte, quando tutto tace, se tendo l'orecchio, forse (e dico forse), riesco a sentirla singhiozzare.
"Il mio male non è virale ma è contagioso, o almeno temo. Nel dubbio, non rischio e mi isolo."

Dice così perché in realtà ha paura. Io la osservo soffocare dentro le parole, la vedo distogliere lo sguardo di fronte al mondo. La sua finestra ha sempre le tende tirate. Non sento rumori venire dalla sua stanza perché sempre riempita soltanto dalla musica classica. Evita il contatto fisico e non ascolta le conversazione nella sala della tv, all'ultimo piano. Se non ascolta non è costretta a partecipare. Mi domando cosa ci vada a fare nella sala tv, la sera, quando le altre litigano sul programma da guardare o discutono delle loro ultime avventure. Eppure partecipa alla vita del condominio, a modo suo.

Credo di non conoscere neanche la sua voce, fatta eccezione per quei rarissimi "scusa".
Scusa di cosa poi? Chiede scusa a caso. Sembra si scusi di esistere. Sembra si scusi di esserci.

Dolores serve alle altre, è una presenza importante nel condominio. Lo capisco perché la invitano sempre, non si scordano mai di lei. Fa parte del gruppo e le vogliono bene. Perché lo fanno però, non mi è chiaro. Il suo carattere autodistruttivo, egocentrico e masochistico è forse per loro una sorta di catarsi costante? Identificarsi nel suo dolore permette alle altre di vivere meglio? Eppure non che le altre facciano scelte migliori grazie alla sua presenza.

Un'ipotesi... Non è che per caso funge per loro da parafulmine emotivo? Assorbe il dolore che le azioni delle altre provocano? Lo fa suo, lo assimila, lo metabolizza. Forse se ne nutre.

So che la devo aiutare, perché ciò che la nutre allo stesso tempo la logora, e si consumerà, come una candela accesa e lasciata lì, fino a sparire in una nuvola di fumo appena percettibile. Ma non so come. E' fragile come un calice di cristallo eppure impenetrabile come una fortezza di pietra.

Le tenderò la mano, aspettando che lei la prenda. Dolores è nata per soffrire, ma non morirà soffrendo. O perlomeno non soffrendo da sola.



lunedì 5 novembre 2012

L'amministratrice

Allora, 
non credevo ci fosse tanto spazio, ma evidentemente mi sbagliavo. Io tante personalità così non credevo di riuscire a contenerle. Ma dal momento che ci siete e sembrate aver trovato un vostro modo di coesistere, tra l'altro senza interpellarmi, ho deciso di impartire almeno alcune regole di condominio:
  • Prima di tutto, ognuna di voi deve avere un nome, e il nome lo decido io;
  • Si accettano nuove inquiline solo all'unanimità delle abitanti preesistenti;
  • Quando una prende il sopravvento, le altre tacciono, o al massimo assecondano; non voglio confusione con due o tre che parlano contemporaneamente;
  • Chi fa le zozzerie, dopo deve pulire;
  • Non si fanno promesse;
  • Le decisioni si prendono previa riunione di condominio, e si va alle votazioni, siamo in uno stato di democrazia, vince la maggioranza;
  • Se qualcuna di voi è indagata, se ne deve andare;
  • A nessuna, nemmeno la peggiore, è comunque consentito non rispettare leggi in vigore là fuori;
  • La prima che manca di rispetto alle altre, è fuori;
  • COMANDO IO.
Adesso che il regolamento è stato messo nero su bianco, potremmo iniziare con le presentazioni. Ad ogni riunione di condominio, una di voi avrà modo di presentarsi e parlare un po' di sé.
Per oggi accontentiamoci di non aver concluso la prima riunione di condominio con una rissa.



martedì 5 giugno 2012

Si ride per non morire.

Sono seduti in fondo. Sono in 3.
Mani da contadino, pantaloni tenuti su con la corda per legare i pioli della scala del pollaio, camicia "bòna", quella delle occasioni, berrettino rubato probabilmente al nipote appoggiato sulle gambe, perché in chiesa il cappello si toglie.

La loro maestria è degna di un gruppetto di ragazzini delle elementari, quelli dell'ultimo banco.

- "Parola del Signore"
E la platea all'unisono inizia la tiritera.
Nel brusio generale, dalla quasi totale immobilità, si scatenano improvvisamente in una fitta successione di battute, prese in giro, buffetti, risatine, occhiatacce e spintarelle. Il tutto dura pochi secondi. La platea si zittisce.  Solo la voce amplificata del prete prosegue e rimbomba tra le volte di quella pieve romanica, e loro tornano allo stato di sentita mestizia iniziale.
Altra parte corale, che dura sì e no 2 secondi, e la scena si ripete riprendendo esattamente da dove l'avevano interrotta. Sono sorpresa della loro capacità di non perdere il filo, anche passati alcuni minuti. Hanno una memoria di ferro.

Ad un certo punto si sfiora il disastro. Uno di loro si scompone e trattiene a stento una risata. Gli altri due, neanche si fossero messi d'accordo, coprono il tutto con un coretto di colpi di tosse, rantoli e schiocchi di lingua.

Si alzano quando si devono alzare, si siedono quando si devono sedere.

- "Scambiatevi un segno di pace"
Ecco, si girano, si guardano, si danno la mano. E uno di loro invece di dire "Pace":
- "Vieni al campo dopo, che te la do io la pace".
E i sorrisini beffardi si sprecano.
La comunione non la fanno, ci mancherebbe, commentano le signore in fila, loro.
Di lì a poco, finisce il rito e sono i primi ad uscire.

Al corteo funebre non c'erano...chissà dove erano andati.



martedì 15 maggio 2012

Mai dire buongiorno

Mi sveglio.
E' suonata la sveglia almeno 5 volte. Anche lo snooze si è stancato di ripetersi ormai.
Quindi inevitabilmente apro gli occhi.
Il primo pensiero: sono già in ritardo.
Il secondo pensiero: tra poco sarò in ufficio e verrò travolta dalla valanga di cose da fare, finirò nel vortice di eventi per venirne risputata fuori tutta masticata come un vecchio chewing-gum (quindi indurita e completamente priva di sapore) solo a tarda serata.

Più di due pensieri consecutivi poi non riesco a farli, e il corpo prende il sopravvento con i suoi bisogni primari. Mi alzo e passo da un piacevole e comodo letto, alla ciambella del cesso. Il passaggio è traumatico.
Espletate le funzioni corporee primarie (la numero e la numero 2), infilo sotto la doccia bollente nel tentativo di liquefarmi (vedi post di un po' di tempo fa). Ed ecco l'altra delusione: non succede MAI. E quindi sono costretta ad uscire dal box, vestirmi, truccarmi. Rendermi presentabile.

E vi garantisco che è un'operazione ogni giorno più umiliante. Quanto era bello il tempo in cui il mio volto giovane non aveva bisogno di niente, era illuminato di luce propria. Oggi con il make-up devo star attenta a mettere dei punti luce dove c'è da valorizzare, e creare zone d'ombra dove c'è da nascondere. Non ho un viso, ho un monolocale male arredato.
E tutto questo con ancora in testa, costante leit motiv di questi momenti, il secondo pensiero fatto appena sveglia.

Sono lontani i tempi in cui mi svegliavo con la voglia di fare (fare cosa, a voi la libera interpretazione). Anche perché di solito mi svegliavo tardi, di buon umore, e se ero stata brava la sera prima, nel letto c'era anche di che renderlo migliore.

Tutto questo per dirvi: buongiorno un cazzo. Ecco.